"Con i piedi per terra e la testa fra le nuvole, Emma iniziò a leggere..."

martedì 9 maggio 2017

Jane Eyre di Charlotte Bronte

Tra i diversi volumi della libreria di Emma Braccani, ne ho scovato uno particolarmente interessante. Emma lo aveva riposto sull’ultimo scaffale, il più alto di tutta la libreria, per intenderci. L’ho ripulito dalla polvere, Emma dovrebbe imparare ad avere più cura dei suoi libri, ma comprendo la sua noncuranza e non gliene do troppa colpa. Se Emma avesse una vita meno ingarbugliata, sicuramente avrebbe abbastanza tempo per curare i suoi “gioielli” da libreria. Ma torniamo a noi; sulla copertina del libro c’è il volto di una donna dell’ottocento; i suoi capelli sono raccolti a chignon e l’espressione profonda degli occhi rende giustizia alla storia di cui sto per parlarvi. Nel  1847, Charlotte Bronte scrive la sua terza Opera intitolata Jane Eyre, grazie alla quale si aggiudica la fama internazionale. Jane Eyre è un capolavoro senza tempo che fin da subito riscosse un grande successo di pubblico, anche se parte della critica dell’epoca rimase scandalizzata dalla descrizione della passione amorosa della protagonista. Jane Eyre, l’eroina di Charlotte Bronte, è una donna audace, indipendente, autoritaria e sentimentale al tempo stesso. Ho amato questo personaggio sin dalle prime pagine, quando la Bronte racconta di una bambina orfana e affidata alla famiglia Reed a Gateshed dalla quale sebbene sia ripetutamente maltrattata, la piccola Jane dimostra un ammirevole forza d’animo che terrà viva anche quando viene portata nell’Istituto per ragazze povere Lowood, in cui in età adulta, diventerà un’istitutrice alla ricerca del suo spazio nel mondo. Ed è questa ricerca a farsi strada da sola, che condurrà Jane sulle strade di Thornfield Hall, dove si aggiudica il ruolo di istitutrice della figlia dell’amante francese del signor Rochester, affascinato dalla bellezza di Blanch Ingram con la quale convoglierà presto a nozze, rendendo così la sua signora la padrona dei suoi possedimenti.
Jane Eyre è un romanzo di formazione in cui la voce narrante è proprio quella dell’audace Jane. Leggere quest’Opera è stato come trovarmi accanto ad un’amica la quale, alternando momenti di malinconia a quelli di passione, gioia e sofferenza, mi ha reso al corrente della sua incredibile storia che mi ha travolto emotivamente dal principio fino alla fine, ovvero a quelle ultime parole che mi hanno suscitato brividi sulla pelle. Durante il “viaggio”, non ho notato molte differenze tra la Jane bambina e quella adulta; il tempo e le varie esperienze che la giovane vive non hanno fatto altro che acuire in lei i valori che l’hanno resa una donna forte, caparbia e che, nonostante le sofferenze della vita, sia riuscita a tenere integra la propria individualità in una società in cui erano scarse le probabilità di riuscirci. Nel romanzo Charlotte Bronte porta avanti tre aspetti: l’indipendenza, il perdono e la passione. Non posso dire che io le abbia condivise tutte e tre, ma non mi duole affatto ammettere che io abbia scelto questa lettura per l’inclinazione rigida che è stata scelta dall’autrice e per la lotta contro l’emancipazione femminile; prima di avvicinarmi a questa grande autrice, ho letto tutte le Opere di Jane Austen e devo dire che, solo dopo aver letto Jane Eyre, tra le due scrittrici la Bronte si conferma la mia autrice preferita. La sua emotività cupa e realistica rispecchia decisamente la mia. In Jane Eyre respirare l’atmosfera gotica della brughiera è stato quasi famigliare. Non fraintendetemi, adoro le Opere austeniane e ammiro i pensieri ed i principi che ne costituiscono il valore, ma l’atmosfera tranquilla che vi troviamo in ciascuna di esse, non conquista e non appaga appieno la mia interiorità.

Nell’ultima pagina ho trovato un foglietto in cui Emma aveva scritto le proprie impressioni che, da quanto ho visto, non si allontanano molto dalle mie. Sia io che Emma abbiamo amato la psicologia dei personaggi ed i dialoghi che Charlotte Bronte ha scritto con notevole passione, nonché le descrizioni dei paesaggi, degli oggetti e degli scenari che la giovane Jane sembrava descrivere al lettore con la voce del cuore. Penso che “tornerò” in brughiera prima o poi, facendomi travolgere ancora dai dialoghi tra Jane e Mr Rochester, un uomo colto, ricco e affascinante, proprietario terriero che non impiega molto ad innamorarsi della giovane la quale, a sua volta, si innamora follemente di lui il quale però ha un segreto da nasconderle, un matrimonio vantaggioso, voluto dal padre in Jamaica, con una donna molto bella e nel cui sangue scorre il gene della pazzia. Soltanto dopo il matrimonio, Mr Rochester, allora ventenne, viene a conoscenza delle stranezze di quella moglie la cui malattia lo porterà a rinchiuderla in una parte della tenuta, escludendola per sempre dalla società. Errori che sembrano irreparabili, ma sarà la fede in Dio a ricondurre Jane sulla via del perdono e, naturalmente, dell’amore.  

lunedì 20 marzo 2017

Quanto amore vero c'è nei libri?

Buon lunedì, amici. Oggi torno sul blog con un nuovo argomento. È da un po’ che chiedo come mai io abbia ignorato i due libri più famosi dell’autrice Jojo Moyes. Sto parlando di “Io prima di te” ed il suo seguito intitolato “Dopo di te”. Come mio solito fare, qualche giorno fa, sono tornata a ficcanasare nella camera di Emma Braccani e sorprendentemente mi sono trovata a sfogliare questi due libri che non erano impilati assieme agli altri. Emma li aveva infilati in un vaso color lilla, forse, ho pensato io, per darne un senso metaforico. Chi ha letto il mio romanzo, saprà benissimo che Emma è una ragazza creativa, pensosa, con una gran voglia di scovare il senso in ogni cosa, in questo caso nei libri, nelle storie che legge. Credo sia lo scopo di ogni lettore, di un buon lettore. Ebbene, ho deciso di prendere in prestito tutti e due i libri della Moyes, sperando di assaporarli velocemente, poiché non vorrei mai dare alla mia eroina il dispiacere di non trovare più i suoi amati libri. Quindi in quattro giorni sono riuscita a terminare il primo capitolo “Io prima di te” e in meno di una settimana ho scoperto le vicende narrate in “Dopo di te”.
Cerco sempre di non leggere i cosiddetti “libri del momento”, poiché non sono tanto affascinata dal giudizio divulgato dalla massa. È la stima che nutro nei confronti di Emma a condurmi sempre verso nuove letture, talvolta anche quelle che sono di tendenza. È grazie a lei, quindi, che ho scoperto questa autrice, ritenendola la migliore nel suo genere poiché, nelle sue storie, si arma quasi sempre di realtà e sentimenti. “Io prima di te” è senza dubbio un libro emozionante, realistico. I personaggi sono ben caratterizzati anche se la protagonista, Louisa, ragazza dai gusti bizzarri, mi ha tanto ricordato il famoso personaggio di Ugly Betty. Will Traynor invece, l’ho trovato un personaggio meno stereotipato e molto intrigante a livello intellettuale. Leggere le sue battute, il suo vissuto, è l’aspetto più toccante del libro. L’autrice è stata in grado di raccontare una realtà che purtroppo colpisce molte famiglie, colorandola con un pizzico di simpatia. Una storia dunque che oscilla tra l’emozione negativa ed il sorriso.
"Per qualche tempo ti sentirai a disagio nel tuo nuovo mondo. Ci si sente sempre disorientati quando si viene sbalzati fuori dal proprio angolino rassicurante... C'è fame in te, Clark. C'è audacia. L'hai soltanto sepolta, come fa la gran parte della gente. Vivi bene. Semplicemente, vivi!" - Will . Un romanzo bello, per certi versi realistico ed emozionante. Jojo Moyes ci ha deliziato con un sequel per nulla scontato e di supporto per molte persone. Perché? Be' il lutto per le persone a noi care, incenerisce il cuore facendoci dimenticare di esistere e la Moyes con questo romanzo, ha esplorato e analizzato la dimensione di una persona, in questo caso di Louisa Clark la quale, in assenza di Will, ha dimenticato i passi importanti per vivere. Vi consiglio questo libro perché, sebbene alcune scene siano un po' cinematografiche e di stile poliziesco, vi terranno incollate dalla prima all'ultima pagina, e vi condurranno insieme a Clark sui passi giusti. 
Ma ora passiamo al quesito di oggi. È da un po’ che non faccio altro che chiedermi: quanto amore vero c’è nei libri? Ebbene, per rispondere alla mia domanda ho ritenuto opportuno immedesimarmi in fogli di carta, in particolare, ho immaginato di essere le pagine di un romanzo, da cui ho assorbito ogni macchia d’inchiostro, riprendendo fiato ad ogni punto inflittami dalla penna e cullandomi nel dolce tratto delle virgole. Perché i romanzi rosa sono sempre più favoriti dei romanzi che trattano d’altro? Siamo sicuri che quest’ultimi non presentino mai tracce di amore, ma solo quelle di odio? L’amore tra due personaggi che assaporiamo nei libri è davvero così autentico al concetto dell’amore? Direi di no. Il concetto di "amore" è così vasto che non sarei contraria se un giorno qualcuno si rifiuterebbe di scrivere storie d'amore. I due argomenti, odio e amore, dovrebbero essere affrontati e trattati con consapevolezza e con realismo. Sapete, io sono soltanto un foglio e ricordo che, talvolta, sentivo il tratto d’inchiostro marcarsi di più, pungendomi e trasformando tutte le emozioni positive che avevo assorbito fino ad allora, in emozioni negative. Così ho capito che amore e odio sono due sentimenti che ne valgono una sola.
L’uno è intrinseco all’altro anche se nella storia vedremo prevalere soprattutto il rosa e in minima parte il nero. Ma io sono realista, e poiché sia stato in un certo senso piacevole leggere un romanzo così ottimista, io esamino i punti neri della storia. Sono piccole fratture, lo so, ma proprio per questo le ho ritenute inverosimili. Immaginiamo di essere a teatro, presto assisteremo ad uno spettacolo, ovvero alla riproduzione esatta della realtà. Non ci resta che viverla: le luci si spengono e, nello stesso momento, vediamo accendersi dinanzi a noi altri riflettori che puntano sul palcoscenico; si apre il sipario, entrano in scena L’Amore e il Bene. Non dopo troppo tempo però, uno dei due si muta in “Male” e L’Amore, provando nel petto un dolore insopportabile, cade a terra. Vediamo il sipario alzarsi di nuovo e di lì a poco, si fa avanti un’ombra che sentiremo chiamarsi Odio. Sarà colui che raccoglierà ciò che rimane de L’Amore, facendolo uscire di scena, ferito e dolorante. Adesso, sul palco, rimangono soltanto loro due: il Male e L’Odio.
Rifletto sulle mie immagini e capisco che quello a cui ho assistito non è stato altro che un processo di scambio in cui viene data la precedenza, per coscienza o meno, ad un’ombra maligna e protettrice. Quante volte ci è capitato di rimanere feriti tanto da mettere da parte l’amore, armandoci così dell’odio? E quante volte abbiamo detto a noi stessi la frase: “Sono cambiata, non sono più quella di una volta”. In realtà io credo che nulla è cambiato dentro di noi, saremo sempre le persone che sognano l’amore che, come ogni cosa, è munita della sua parte oscura: l’odio per l’appunto, che interviene soltanto quando l’amore è stato inibito dalla luce rossa del semaforo, dando così la precedenza all’odio che, dall’altra parte della strada, ha trovato il verde. Ad ogni concetto persiste sempre il suo contrario: Felicità/ tristezza; gioia/dolore; ottimismo/pessimismo, bene/male… ecc. Solitamente quando la situazione lo necessita, l’uno prevale sull’altro. Io posso amare qualcuno, ma quel “qualcuno” può deludermi e in me si accenderà la fastidiosa spia dell’odio, quel sentimento che può essere governato o meno dalla nostra coscienza. Sebbene sia stata ferita possono trasformarmi in un vigile urbano e non dare mai la precedenza all’odio. Lo lascio lì impostato perennemente davanti alla luce rossa del semaforo. L’odio è un guerriero che al di là del suo scudo protegge l’amore, lo tutela. In caso contrario, L’Amore esiste e persiste in una forma diversa, forse più debole ma avrà tempo di riprendersi e rifiorire. A questo punto, torniamo a teatro; lo spettacolo è finito e, purtroppo, ci accorgiamo che nel cuore ci ha lasciato tanta amarezza; l’amore è appassito e il male ha avuto la sua ultima battuta, uscendo di scena trionfante. Usciamo dal teatro angosciati, rabbiosi, frustrati poiché avremmo voluto che la storia terminasse in un altro modo, che si chiudesse con il cosiddetto “lieto fine”. La vita non è mai banale e, di conseguenza, non dovrebbe esserlo alcun libro, indipendentemente dal suo genere. Quindi siamo rimasti fermi nella scena in cui L’Amore ha perso per sempre. Siamo a casa, ci abbandoniamo su una comoda poltrona e riflettiamo su quanto visto. La mente diventa un groviglio di pensieri, vorresti fare qualcosa per sbrogliare quella matassa. Da semplici spettatori diventiamo scrittori che si pongono un unico obiettivo: quello di cambiare il finale della storia. Senti ardere dentro di te la fiamma della rivincita, senti innalzarsi un grido di rivalsa e capisci che l’unica cosa da fare è partire dalla fine, parlare di ciò che nella realtà non va come dovrebbe andare. Ad ogni parola corrisponde un suo contrario. Per ritornare sulla giusta via, per ritrovare L’Amore, dobbiamo necessariamente partire dalla cattiva strada, da ciò in cui tutto è finito. L’ultimo vincitore, ovvero L’Odio. È da qui che si originano le storie negative, dove prevalgono emozioni quali l’odio, la rabbia e il rancore e sebbene sappiamo che il “nostro” libro verrà rifiutato dalla maggior parte dei lettori, poiché le persone non desiderano angosciarsi con storie infelici, ci facciamo coraggio, invitandole ad assistere ugualmente al “nostro” spettacolo, ad un nuovo spettacolo. Inizialmente, il Pregiudizio li fa esitare all’entrata ma poi, con l’intervento dell’Intelligenza, lo vediamo mettersi da parte, permettendo così alla frotta di gente di affluire all’interno della sala. È fatta, abbiamo il nostro pubblico composto da persone scettiche, avvezze a storie di un’altra natura, quella felice, quella leggera dove sul palco L’Amore ha sempre la meglio dalla prima all’ultima scena. Si apre il sipario ed eccoli lì: vediamo entrare sul palco il Male e L’Odio, dietro il cui scudo intravediamo il faccino impacciato de L’Amore. È ancora debole per intervenire. Per la prima metà del libro, assistiamo a scene di violenza, ad una vera e propria battaglia tra i due protagonisti che suscita in noi emozioni prettamente negative, vere, dalle quali desideriamo liberarci. Osservo il pubblico che per la prima metà del libro si mostra partecipe: a volte è in delirio e, preso dalla rabbia, lo vedo incitare L’Odio a farsi valere, a infliggere la sua spada nel Male. Avverto vibrare sulla mia pelle, l’emozione della gente che fa da collante ai loro cuori. Vedo un pubblico alleato, un pubblico che non mi sarei mai aspettata di vedere, un pubblico che dapprima aveva rifiutato il mio spettacolo e che poi sembrava addirittura amarlo. È stato un viaggio, una carica di adrenalina allo stato puro e finalmente quando L’Odio ha sferrato il suo ultimo colpo al Male, ci crogioliamo tutti nella felicità di vedere riapparire sul palco, la figura rosea e celestiale de L’Amore. L’Odio si è fatto da parte per dare di nuovo luce all’Amore. I riflettori si accendono per tutto il teatro e le persone scattano in piedi, applaudendo calorosamente alla luce che, con coraggio e sagacia, è stata in grado di riemergere dal buio.
Un libro di rabbia e di odio non vi emozionerà meno di un libro d’amore. Un libro d’amore, leggero dal punto di vista della trama può sottintendere l’odio e viceversa. Un romanzo regala emozioni vere soltanto se rispecchia la realtà. Siamo uomini, ma siamo anche nemici di un branco di lupi che agiranno sempre per il proprio bene. Siamo egoisti per quanto sentimentali. Cerchiamo l’amore nei libri, poiché non lo troviamo nella realtà; ci vuole coraggio e tanta voglia di fare la differenza per scrivere libri che, in un primo momento, sono contrapposti alla felicità, al bene, ma ce ne vuole altrettanto per mettere da parte il Pregiudizio ed affacciarsi ad una realtà di carta. 
“Un libro d’amore parlerà sempre di odio; un libro di odio, parlerà soprattutto di Amore”.
Un’ultima cosa; poco fa vi ho detto che Emma ha lasciato i due libri di Jojo Moyes dentro ad un vaso color lilla. Quando sono tornata a casa sua, il vaso era ancora sul davanzale della finestra; benché privo di terra, ho rinvasato i due romanzi, posizionandoli quindi dove li avevo trovati l’ultima volta. Con mia grande sorpresa, al suo interno ho trovato un post-it con su scritto: “L’odio pianterà le sue radici dalle quali fiorirà L’Amore”. 
By Emma,

venerdì 10 marzo 2017

Blog tour Festa della donna 2017

Benvenuti alla terza tappa di questo blog tour organizzato unicamente in occasione della festa della donna e che si protenderà fino al 14 Marzo, tenendovi compagnia parlandovi di una delle tante donne che sono rimaste nella storia o che hanno fatto la storia. Oggi ho il piacere di parlarvi di una donna che ha contribuito a rendere dignitoso l’universo femminile. Mi riferisco a lei, Charlotte Bronte, l’icona mondiale della letteratura inglese. Vi porto con me, indietro nel tempo, in brughiera… dove dopo un breve accenno sulla sua vita, mi vestirò, insieme a voi, nei panni di un’umile e curiosa giornalista italiana, scavando, per quel che potremmo, nel profondo delle Sue radici. Nata il 21 aprile del 1816 a Thornton, nello Yorkshire, Inghilterra, terza di sei figli, da Patrick Bronte, un pastore protestante di origine irlandese e dalla moglie, Maria Branwell (morta in età precoce a causa delle numerose gravidanze), Charlotte Bronte dimostra sin da bambina una spiccata predisposizione per la scrittura. 
A due secoli dalla nascita, cercheremo di penetrare nella vita segreta di Charlotte Bronte. Dopo un volo d’immaginazione, di non oso pensare quante ore, eccoci arrivati nella landa. Questo cottage che ci troviamo davanti, immerso nel verde, dovrebbe appartenere proprio a lei, alla signora Bronte! Che emozione! Il tempo non è dei migliori e, secondo varie fonti, l’atmosfera cupa e gelida della brughiera avrebbe forgiato la personalità della nota scrittrice. Quando faceva bel tempo, i piccoli Bronte correvano nella landa alla scoperta di una natura selvaggia e affascinante. Ma i lunghi inverni della brughiera, che duravano da settembre a marzo, non incoraggiavano certo le attività all’aperto. Busso al portone, sperando che qualcuno ci apra, ma purtroppo nessuno sembri invadere le quattro mura della casa e, quindi, accorgersi di noi. È presto per dichiarare resa: ecco che si avvicina a noi una donna, sembra dal volto conosciuto. Alcuni di voi si emozionano alla vista dell’illustre presenza di… Elizabeth Gaskell, una delle icone della letteratura inglese, nonché biografa della stessa Bronte, autrice di numerosi romanzi e di raccolte di racconti.
Dopo aver manifestato tanta stima e ammirazione per Lei, ricambiate con profonda gratitudine, le chiediamo di poterci dire qualcosa riguardo l’infanzia di Charlotte e delle sue sorelle.  Elizabeth Gaskell parla di bambini diversi da tutti gli altri, silenziosi, calmi, più interessati ai libri che ai giochi. La vita di Charlotte Bronte, Elizabeth Gaskell (pubblicata in Italia nel 1987, La tartaruga, Milano).
“Creaturine dai movimenti così misurati, così quiete e buone”. Ci dice la Gaskell. (La vita di Charlotte Bronte, Elizabeth Gaskell- La Tartaruga 1987, Milano).
Dal suo racconto, capiamo che Charlotte Bronte e i suoi fratelli passavano la maggior parte del tempo chiusi in casa sotto la guida della zia Elizabeth, venuta dalla Cornovaglia, a prendersi cura dei bambini dopo la morte della sorella. Unico loro passatempo, unica via di fuga, unica libertà non soggetta a restrizioni o divieti, era la lettura e l’esercizio della scrittura. La loro immaginazione, che non conosceva inverni, era una sorgente inesauribile di storie e di invenzioni. Le storie che più interessavano i piccoli Bronte erano storie di politica interna ed esterna. Dice la Gaskell, riferendosi alle parole di Mister Bronte: “Fin da piccoli appena seppero leggere e scrivere, Charlotte, suo fratello e le sue sorelle presero l’abitudine di rappresentare piccoli drammi composti composti da loro e il duca di Wellington, eroe di Charlotte, sempre riusciva vincente quando tra di loro si accendeva una delle solite discussioni sui meriti comparati suoi e quelli di Bonaparte, di Annibale e di Cesare”. La vita di Charlotte Bronte, Elizabeth Gaskell – La tartaruga 1987, Milano.
La Gaskell riporta poi l’episodio della maschera teatralmente usata dai piccoli Bronte in una sorta di gioco al padre, alla maniera di filtro comunicativo con il mondo esterno. Sappiamo che qualche decennio dopo, questo filtro, si tradurrà nella scelta, comune alle tre sorelle scrittrici, di darsi uno pseudonimo d’arte. “L’interno” è costituito dal piccolo mondo di fantasia creato a dodici manine dai sei fratelli, nei lunghi pomeriggi davanti al fuoco; “l’esterno” è il padre, Mister Bronte, che escogita l’espediente della maschera. A uno di voi, preso dalla curiosità, scappa dalla bocca un’osservazione che, in tutta sincerità, avrei voluto esternare anche io. Credo che tutti noi abbiamo pensato a quanto Mister Bronte, con le sue letture di politica estera, avesse in qualche modo influenzato e potenziato la dote delle figlie. Elizabeth Gaskell, trattenutasi più di quanto non avremmo mai immaginato (e di questo le siamo enormemente grati), chiede congedo da noi e, dopo un inchino, la vediamo entrare in casa Bronte. Alcuni di voi, commentano questo straordinario incontro uno di voi invece, spingendosi con l’immaginazione, scopre diversi libri che giacciano accanto al piede. Sono le quattro opere scritte da Charlotte Bronte, in rilegatura rigida:
  •  Jane Eyre, pubblicato nel 1847
  • Shirley, pubblicato nel 1849
  • Villette, pubblicato nel 1853
  • The Professor, scritto prima di Jane Eyre e rifiutato da molti editori, pubblicato postumo nel 1857
Non dimentichiamoci di Emma romanzo incompleto, scritto dopo "Villette", Charlotte scrisse solo i primi due capitoli, il romanzo è stato completato in seguito da una Another Lady uscito con il titolo "Emma Brown". Ci fu molta controversia su chi realmente Currer Bell fosse, e se si trattasse di un uomo o una donna.
Debbo ammettere che avrei voluto Miss Gaskell ancora un po’ con noi, ma sarebbe stato davvero scortese. Quindi se curiosità e immaginazione provengono dalla stessa fonte, cerchiamo di collegarli, e compattarli in un unico pacchetto. Immaginiamo di intrufolarci in casa “Gaskell” e, sul suo comodino in legno antico, scoviamo il libro che Lei stessa ha scritto sulla vita di Charlotte Bronte. Esploriamo le pagine, crogiolandoci in una vocina narrante che, in sottofondo, sembra informarci dei punti chiave della vita della Bronte. A tale voce, affibbierei quella della Gaskell!
Elizabeth Gaskell ritrae Charlotte così: “Era una quieta e pensosa fanciulla di quindici anni, dal personale molto minuto [ … ]. Le membra e la testa in armoniosa proporzione con l’esile, fragile corpo [ … ] soffici, folti capelli castani e occhi tutti suoi [ … ]. L’espressione abituale era di quieta, intenta intelligenza, ma, ogni tanto, per un qualche giusto motivo di intenso interesse o di sana indignazione, splendevano come se una lampada spirituale si fosse accesa e lucesse dietro a quei globi oculari espressivi”. Inoltre la sua compostezza, che dava al suo volto “la dignità di un antico ritratto di scuola veneziana”.
“Oh, cita Venezia, L’Italia!” Esclama con enfasi qualcuno di noi. Io mi giro, lentamente e soltanto dopo averlo adocchiato, gli faccio segno di tacere, ma una ragazza interviene subito dopo ed io non riesco a tenere la situazione sotto controllo. La sento dire: “Se è per questo in Jane Eyre, Charlotte Bronte cita anche Napoli!”. Il ragazzo non sembra così contento, e le risponde a tono: “Se è per questo cita anche Milano!”. La ragazza sembra irritarsi, ma per fortuna ha il buon senso di non proseguire quel dibattito, ritenendolo forse di poco conto o rinviandolo semplicemente fino a quando non saremo tornati in Italia. Tuttavia, in camera scende di nuovo il silenzio; scorrendo le pagine leggiamo che nel 1820 la famiglia si trasferisce a Haworth, vicino a Keighley, nello Yorkshire, in una modesta proprietà parrocchiale immersa nella brughiera. La madre Maria muore di cancro nel 1821, indebolita dalla nascita di sei figli in poco tempo, e i bambini saranno accuditi dalla zia materna, Elizabeth Branwell, e dalla fedele governante, Tabitha "Tabby" Aykroyd.
Nel 1824 Charlotte, assieme alle due sorelle maggiori, Maria ed Elizabeth ed alla sorella minore, Emily, viene iscritta alla Clergy Daughter's School di Cowan Bridge nel Lancashire, una scuola per figlie di ecclesiastici. Le condizioni assolutamente spaventose dell'istituto (vitto insufficiente, condizioni igieniche inadeguate) causeranno nel 1825 la morte prematura delle due sorelle maggiori di appena 11 e 10 anni e rovineranno per sempre la salute di Charlotte ed Emily.
L'esperienza sconvolgente vissuta a Cowan Bridge sarà rievocata, anni dopo, nel celeberrimo romanzo Jane Eyre: tutti i lettori vittoriani del romanzo non mancheranno di riconoscere, sotto le spoglie della Lowood School dove viene spedita Jane il famigerato istituto di Cowan Bridge. Tra il 1826 e il 1829, si nota la prima attività letteraria che venne iniziata insieme alle sorelle Emily e Anne e al fratello Branwell, al quale il Reverendo aveva donato una scatola di soldatini: i bambini crearono delle avventure fantastiche attorno a quelle figurine che vennero trascritte da loro stessi su minuscoli pezzetti di carta che minuziosamente cuciti a mano, formavano dei piccoli libri non più grandi di un francobollo. Charlotte e il fratello crearono la Glass Town Saga mentre Emily ed Anne inventarono la Gondol Saga.
Nel 1831 Charlotte viene iscritta alla scuola di Miss Wooler di Roe Head dove incontra la sua amica di lettere Ellen Nussey e ottiene ottimi risultati; qui riceve un posto come insegnante nel 1835 ma prima torna a casa nel 1832 dove contribuisce alla stesura di altri capitoli del gioco letterario iniziato con le sorelle e il fratello: porterà avanti questa attività fino all'età di 23 anni.
In seguito, per alcuni anni, Charlotte svolgerà la professione di istitutrice presso alcune famiglie aristocratiche. Nel 1842, insieme alla sorella minore Emily, si reca a Bruxelles per studiare francese. Proprio a Bruxelles, studentessa nel Pensionnat Heger, Charlotte si innamora del suo professore, Constantin Heger, figura tuttora rispettata e ammirata in Belgio, ma tale sentimento non è corrisposto da Heger, oltretutto già sposato. La delusione è profonda e mai completamente sopita (la tematica dell'amore tra il professore e l'allieva sarà presente in ben due romanzi su quattro).
Tornata in Inghilterra nel 1844 comincia a cullare il progetto di scrivere, insieme alle sorelle, alcuni romanzi. Nel 1847 tutte e tre le sorelle pubblicano i propri: Charlotte propone dapprima Il professore che viene rifiutato, poi Jane Eyre, subito accettato e dato alle stampe con lo pseudonimo di Currer Bell. Seguirà la pubblicazione di altri romanzi, Shirley (ambientato all'epoca del luddismo) e Villette (analogo, quanto a contenuto, a Il professore, ma forse con accenni autobiografici). Nel giugno 1854, dopo tensioni con il padre, Charlotte sposa il reverendo Nicholls. La felicità conquistata durerà poco poiché la donna si spegnerà l'anno seguente, in attesa di un figlio.


Chiudiamo il libro, un rumore sordo ci ha fatto trasalire a tutti. Qualcuno di voi si affaccia alla porta e ci comunica che, molto probabilmente, qualcuno è entrato in casa. Prima di andare via, vedo due di voi bisticciare fragorosamente. A quanto ho capito, vi state contendendo il libro sulla biografia di Charlotte Bronte, ma non c’è tempo, dobbiamo andare! E poi appartiene alla Gaskell, Cristo Santo! Quindi prima che qualcuno di voi possa farci scoprire da Miss Gaskell, scaccio via l’immaginazione e torniamo in Italia. Spero che questo viaggio temporale l’abbiate trovato divertente e interessante. Mi raccomando, continuateci a seguire perché vi ricordo che a fine Blog Tour, verrà fatta l’estrazione con i due libri in palio (uno cartaceo e l’altro ebook) appartenenti a una delle grandi donne della storia. 


sabato 4 marzo 2017

Un romanzo, un'oca e una famiglia inglese



Buon sabato, amici!
Torno sul blog un po’ malinconica, angosciata, nostalgica o forse confusa.
Credo che sia stato a causa del sole, comunque. Mi ha tenuto compagnia, fino a quando non sono arrivata a destinazione. I suoi raggi toccavano qualsiasi superficie e la calura che mi sentivo addosso ha avuto un brutto effetto su di me. Ero a passeggio diretta verso, be’ credo che ormai lo sappiate. Dovevo riportare il libro che ho preso in prestito la volta scorsa, così nel primo pomeriggio, dopo essermi munita di giacca, borsa e una buona dose di prudenza, mi incamminai verso casa di Emma, dove avrei riposto la mia ultima lettura. A proposito: sapete quale ho scelto? Vi do qualche indizio.
Non siete più nel sud Italia, neanche al Nord qualora, come Emma Braccani, foste di Milano o che ne sappia io. Non siete neanche nel centro Italia, anzi diciamo che non siete in Italia. Intorno a voi vedete solamente una pianura verdeggiante e, in lontananza, udite lo scroscio di qualche torrente. Siete avvolti da una luce pallida e, puntando gli occhi al cielo, si potrebbe dire quasi che sia un tempo incerto, ma l’odore di campagna vi tiene comunque distesi lì, impegnati a leggere e a mangiucchiare qualcosa di goloso che prendete dal vostro cestino da pic-nic.
Una voce femminile echeggia nell’aria, distraendovi dal piacevole momento da cui non vorreste mai andarvene. Sentite qualcuno che, chissà dove, sta implorando una figlia ad accettare quel che sembrava essere, alle vostre orecchie, una proposta importante.
“Lizzie! Figlia ingrata!”
E sì, doveva essere tanto arrabbiata la signora Bennet.
Orgoglio e Pregiudizio, film 2007
Orgoglio e pregiudizio è il miglior romanzo che, a mio parere, Jane Austen avesse mai potuto scrivere. I personaggi sono ben caratterizzati e i dialoghi non mi hanno stancato neanche per un momento! Lo stile, benché di un’altra epoca, è piacevole e impeccabile.  I luoghi, le stanze da ballo e l’aperta campagna, sono descritti con semplicità e gusto. Lo so, adesso mi starete rimproverando il fatto che non vi abbia catapultato in una di quelle sontuose stanze dove Elizabeth e l’attraente Mr. Darcy hanno danzato scambiandosi opinioni a fior di pelle, ma c’è un motivo per cui io non l’abbia fatto. Innanzitutto, non ho mai messo piede in una stanza reale e poi, mentre percorrevo una stradina che mi avrebbe condotto fino a casa di Emma, mi è capitato di scorgere un’oca. Era lì, sul prato che avanzava vacillante verso un laghetto e benché fossi ancora presa dalle vicende della famiglia Bennet, pensai che quel simpatico animale potesse essere scappato dal pollaio della cara famiglia inglese. Così ho voluto far venire anche voi, metaforicamente parlando, ovviamente. Posai il libro sullo scaffale della libreria di Emma, lei come al solito non c’era ed è stato meglio così poiché, prima di ritirarmi, ho indugiato nella sua camera dando un ultimo e intenso sguardo a quel capolavoro, bello, affascinante, realistico di cui ancora sento vivere, nella mia mente, i personaggi che lo hanno arricchito e reso autentico.

“Ho lottato invano. Non c'è rimedio. Non sono in grado di reprimere i miei sentimenti. Lasciate che vi dica con quanto ardore io vi ammiri e vi ami.”
Mr. Darcy.

Elizabeth Bennet e Mr Darcy

Vanità e orgoglio sono due concetti ben diversi. Si può essere orgogliosi senza essere vanitosi".
"L’orgoglio si collega piuttosto all'opinione che abbiamo di noi stessi, la vanità è ciò che desidereremmo fosse l'altrui opinione.”
Jane Austen.



“Avrei potuto perdonare la sua vanità se non avesse mortificato la mia.”
Elizabeth Bennet.
Orgoglio e Pregiudizio, Rizzoli 2016
[...] si trovarono a una ventina di iarde uno dall'altra, e il suo apparire era così improvviso, ch'era ormai impossibile evitare il suo sguardo. Subito i loro occhi s'incontrarono e a ciascuno il viso avvampò del più intenso rossore. Egli ebbe un vero e proprio soprassalto e per un attimo sembrò paralizzato dalla sorpresa; ma ridivenuto presto padrone di sé, avanzò verso il gruppo e parlò ad Elisabeth, se non in tono di calma assoluta, quanto meno di perfetta cortesia..." •Orgoglio e pregiudizio. 🌷📖

mercoledì 1 marzo 2017

L'acquolina vien... leggendo!

Buon giorno, amici!
Se non fosse stato per la pioggia imminente e per il vento impetuoso che, oltre la finestra, sentivo ululare, questa mattina mi sarei recata ben volentieri a casa di Emma. Ammetto di essere una persona un pochino invadente, sono un’instancabile ficcanaso che, una volta ogni due giorni, adora intrufolarsi nella sua camera. Ma questo lo sapevate già. Ebbene, oggi dovrò contraddirvi poiché sono stata in grado di reprimere il desiderio di esplorare nuovamente la sua libreria e starmene buona in casa mia leggendo il libro che ho preso in prestito la volta scorsa. Voi vi chiederete: e allora perché continui ad intrufolarti dentro la sua stanza se hai già un buon motivo per non farlo? Esatto, avete pensato bene… ne ho soltanto uno! Con tutto il rispetto per la mia lettura corrente, molto stimolante e piacevole, non riesco a frenare la voglia matta di ficcare il naso nelle sue cose… nei suoi libri, per l’esattezza. Credetemi, è così curioso starsene in camera di Emma da non preferire altri posti. A mio parere, un luogo migliore in cui trascorrere una giornata, che dal principio si era mostrata noiosa, non c’è… non esiste, o almeno per me. Purtroppo (non mi piace questa parola), a causa del mal tempo ho dovuto rinunciare alla solita ispezione della sua libreria, ma in compenso mi è capitato di ritrovare, nel mio cellulare, alcune foto di libri culinari che ho trovato sparsi qua e là l’ultima volta che ho messo piede nella sua camera. Rammento di averli subito raccolti, non condivido il suo modo di tenerli sparpagliati come fossero carte da gioco e, scegliendone uno, ho cominciato a sfogliarlo con tanto interesse. Io, come Emma, nutro la passione per la cucina, per la pasticceria e per il buon cibo in generale; entrambe fotografiamo tortine, bignè in qualsiasi luogo ci capita di beccarli. In un bar, in un ristorante in una vetrina e, come in questo caso, in un libro. Penso che la mania di fotografare dolci, e poi mangiarli, sia diventata la nuova tendenza che coinvolge più persone tanto da essere condivisa sui propri social. Al di là di questo, solitamente non fotografiamo i dolci che appaiono già in fotografia eppure, per questa volta, ho sentito la necessità di farlo, al costo di sembrare una perfetta idiota. Tuttavia, le immagini rappresentate in ciascun libro calamitavano i miei occhi così tanto da farmi accorgere, sin da subito, che non erano libri scritti in lingua italiana bensì in quella tedesca. Ditemi quel che volete su di lei, ovvero che è una ragazza molto curiosa, acuta ecc.. ma nonostante io sia la sua creatrice provo ancora una certa difficoltà a capirla fino in fondo e forse mai ci riuscirò! Come farà Emma a preparare questi dolci o piatti salati se sono descritti in un’altra lingua? Mi chiedevo, mentre continuavo a sfogliarli allibita. Tuttavia, passiamo alla parte più appetibile del mio racconto; ciascun libro di cucina era strutturato così: nella pagina di sinistra, come potete vedere nelle foto, vi era quella che, a rigor di logica, è la procedura della ricetta, mentre nella pagina seguente, ovvero quella a destra, è riportato il risultato finale. Mi sentivo, e forse lo sono ancora, piuttosto frustrata; benché fossero ricette tedesche lo trovai alquanto inutile prendere in prestito i libri di Emma da cui non avrei mai potuto realizzare neanche mezza ricetta. A ogni modo, mi sono accontentata di alcune foto scattate in fretta e in furia, promettendomi di trovare informazioni grazie alle quali mi sarei potuta cimentare nella preparazione. Purtroppo (ora capite perché io odi così tanto questa parola), con grande delusione, non sono riuscita a trovare molto, ma giusto quel poco che basta per capire cosa fossero. Abbiamo un brodo di verdure, pollo in insalata, bijou toast e crackers. Un'altra ricetta, invece, è dedicata ai fans che amano il gratinato; quindi troviamo patate gratinate, risotto con amore e pasta gratinata (be’, dopo aver capito che era una carrellata di roba gradinata avrei potuto fermarmi con la traduzione, il resto sarebbe stato di facile intuizione).
Per finire, abbiamo piatti russi: pomodori ripieni, pasticcio Babuschka e arance con Vodka. Tutto chiaro? Sembrava di sì fino a quando, distogliendo gli occhi dal monitor del pc e indirizzandoli finalmente sulle immagini del libro, mi sono resa conto che era quasi tutto sbagliato!  Alcuni titoli di ricette che ho tradotto non erano associate alle immagini! Che razza di scherzo è mai questo? Ora capite perché io sia rimasta frustrata, no? L’acquolina in bocca e l’impossibilità di chiedere a Emma, che sicuramente ne sarà venuta a capo, le giuste traduzioni per realizzare quelle prelibatezze, mi fanno capire che, in fondo, essere dei ficcanaso non è poi così vantaggioso.


sabato 25 febbraio 2017

La passione per i libri ci rende asociali?

Ciao amici,
quest’oggi mi troverete un po’ critica, come la maggior parte delle persone, d’altronde.
Ho fatto un’imboscata rapida nella camera di Emma; è stata rapida perché ho temuto che qualcuno mi stesse inseguendo, quindi non mi sono trattenuta più di quanto in realtà avrei desiderato. Anzi, vi dirò…sarei voluta tornare indietro oppure nascondermi in qualche parte ed abbandonare, almeno per oggi, l’intenzione di prendere in prestito un libro dalla sua libreria. In effetti, già da un po’, covavo il desiderio di leggere “Madame Bovary”, ma quando sono arrivata, sudata e asfissiata, con grande delusione, mi sono accorta che quel libro mancava; eppure ero sicura che ci fosse dal momento in cui la volta scorsa lo vidi sugli scaffali impilato assieme agli altri simili e che da allora mi promisi che sarebbe stata la mia prossima lettura. Voi mi direte che, al suo posto, avrei potuto scegliere qualsiasi altro libro, poiché qualsiasi testo è accettabile e rispettabile e io vi risponderei che avete ragione ma qualcosa mi ha bloccato nel volerlo fare.  

Avevo un importante incontro con una delle mie amiche e il suono del cellulare non ha esitato a ricordarmelo. La mia risposta è stata rapida così come la battuta della mia amica che, come sempre, ha del sarcasmo. Ma non tutti sono dei professionisti del “mestiere”. Il sarcasmo è per i più abili, non per gli stolti. Vi è mai capitato di sentirvi dire da qualcuno che siete degli asociali soltanto perché trascorrete la maggior parte del vostro tempo a leggere rifiutando più inviti per uscire che buoni sconto da parte de La Feltrinelli? A me sì e puntualmente ho dovuto sorbirmi quelle angoscianti, deplorevoli e insulse dichiarazioni che comprendono sempre la parola “asociale”. Be’ cari amici, posso dire che io provi un certo disgusto davanti a tanta arroganza e prepotenza. Chi ama leggere viene categoricamente identificato come un disadattato, è brutto dirlo ma è così.  Trovo più società in un libro che nella società stessa, peccato che loro ancora non lo sanno. È mai possibile che ancora oggi nel 2017 le persone che nutrono un amore sconfinato per i libri debbano essere giudicate da chi non ha neanche mai giudicato un proprio tema alle elementari? E non ditemi che si era troppo piccoli per farlo, perché allora dovrei essere stata l’unica, assieme alla mia classe composta da venti marmocchi, a sentirmi chiedere dalla maestra: “Secondo te, Bacchetta, che voto meriteresti per questo tema?”. Avanti, la capacità di giudizio ci è stata conferita a tutti sin dalla nascita, ma per svilupparla ci serve intelligenza che, paradossalmente, non ci viene instillata dai libri. L’intelligenza non è abbinata al sapere, ma al saper riflettere, pensare o almeno io la penso così. Fate conto adesso che una lunga linea sia tracciata sotto ai verbi “saper riflettere” e accostatela al “saper giudicare”, con una matita, una penna o come volete. Tutti lo sanno fare, ma pochi lo fanno correttamente. Eccovi il motivo per il quale io sia tornata a casa senza aver preso in prestito un libro dalla libreria di Emma; la mia amica mi stava aspettando già da un po’ nel posto dove ci siamo date appuntamento e, durante il tragitto lento e con meno paura di esser scoperta, ho riflettuto a lungo sulla sua battuta sarcastica. Grazie a lei sorrido, grazie agli altri… penso. Grazie ai libri conosco la società. 

venerdì 24 febbraio 2017

I miglior personaggi

Buon pomeriggio, amici!
Oggi rispondo al tag #miglioripersonaggi in cui sono stata taggata su Instagram! 
A causa dell'eccessiva lunghezza del testo, ho dovuto creare un post qui, scrivendo quindi per filo e per segno tutte le motivazioni riguardo ai miei quattro personaggi preferiti. Pronti? Iniziamo subito!
Ron Wesley dalla saga di “Harry Potter”. La sua ironia affascina sin dal primo libro: è un personaggio divertente, un po’ permaloso ma chi non lo è? Trovo perfetta la sua imperfezione. La Rowling ha creato un personaggio che non ha bisogno di tempo per essere apprezzato, lo si ama dal principio.
Noah da “Le pagine della nostra vita”. Non amo particolarmente le romanticherie da parte degli uomini, poiché in un certo senso le ritengo fittizie. Un concentrato di attenzioni materialistiche e non unicamente per appagare il proprio ego più che la persona con cui si sta insieme. Il personaggio di Noah, e mi auguro che #Nicholas #Sparks lo abbia creato ispirandosi a qualche reale comune mortale, mi ha sorpresa non tanto per il suo lato tenero, dolce e romantico (tant’è che a volte balza fuori il suo essere burbero ed arrogante), quanto per il suo modo di vivere: semplice, rilassante (sebbene abbia una vita povera e ricca di sacrifici). In Noah Calhoun ho apprezzato la sua quiete interiore e la forza d’animo di dimostrare con semplicità i propri sentimenti. Lui non ha da dimostrare nulla agli altri se non unicamente al suo inconfondibile amore di nome Allie.
Jane Eyre di Charlotte Bronte: Trovo eccellente la psicologia di questo personaggio, a cui non riesco ancora a dire addio. Jane Eyre è la donna perfetta dei nostri tempi. La sua mente non vede ostacoli, la sua anima è libera e si sbilancia sempre verso l’infinito, l’indefinito. Così povera materialmente ma così ricca nel cuore che il suo personaggio non può essere che ammirato dall’inizio alla fine dell’Opera. Il suo carattere è ben formato e lo si ama già da quando ha inizio la storia, dove incontriamo una Jane bambina che, sebbene sia costretta a vivere in una realtà crudele in cui le veniva tolta qualsiasi briciolo di felicità, non ha paura ad esternare le proprie ragioni: è audace, grintosa, spigliata. La Jane adulta non ha nulla a che invidiare a quella bambina, poiché riscontriamo in lei le stesse qualità, ma con una sola eccezione: la grande Jane ama l’indipendenza e grida la ragione armandosi di pazienza, tranquillità, dimostrando in tal modo un forte senso di superiorità, un valore aggiuntivo dunque per la sua irrequieta personalità di giovane donna.

Elizabeth Bennet da “Orgoglio e Pregiudizio”, Jane Austen: Ho amato questo personaggio poiché si discosta da tutti gli altri e, soprattutto, dai dogmi di quel periodo. È intelligente, sarcastica, spigliata! Non le sfugge proprio niente o quasi. Adoro i dialoghi con Mr Darcy (altro personaggio da ammirare), nonché il loro rapporto che, pur essendo imperfetto, riesce ad essere meraviglioso e realistico.